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Dopo il lockdown torna il dibattito sui passi alpini: chiuderli o no al traffico?

Lug 3, 2020

Fabrizio Goria

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Il primo weekend di luglio è arrivato. E, complici condizioni meteorologiche positive su quasi tutto l’arco alpino, si aprirà la caccia grossa alle curve dei passi più ambiti da motociclisti, ciclisti, scalatori e appassionati di montagna. Quattro categorie che spesso non vanno troppo d’accordo, perché comunicare da sosta a sosta lungo una via alpinistica con il sottofondo di un bicilindrico rombante non è il massimo. Ed è quasi scontato che si arriverà, per l’ennesima volta, alla discussione se regolamentare o meno il traffico sui valichi alpini. Un tema spinoso, spesso mal affrontato, che impone una riflessione profonda, anche e soprattutto ai tempi della pandemia di Covid-19.

Il lockdown sembra già un ricordo in molte regioni. Dopo una primavera vissuta tra confinamenti e limitazioni alla libertà personale con il fine ultimo di contenere la diffusione dei contagi del nuovo coronavirus Sars-Cov-2, l’estate 2020 sarà una liberazione per molti cittadini europei. La possibilità di respirare a pieni polmoni l’aria sottile è una sensazione che molti riscopriranno. Come ha spiegato il presidente del Piemonte, Alberto Cirio, l’impressione è che sulle Alpi piemontesi “ci sarà il tutto esaurito”. Stesso dicasi per le altre regioni alpine, che si stanno preparando a un rilancio con pochi precedenti nella storia del turismo italiano. Sia perché il distanziamento sociale è più facile da rispettare in montagna che altrove. Sia perché i rifugisti del Club Alpino Italiano (CAI) stanno dando dimostrazione di totale resilienza nell’affrontare la nuova normalità che il Covid-19 sta imponendo. Ed è su questo punto, la riscoperta del turismo in montagna, tanto in voga fino alla metà degli anni Novanta, che si sta per combattere la prossima battaglia. Che sarà sui valichi alpini e il loro utilizzo. Dal Giau allo Stelvio al Moncenisio. Nessuno escluso.

Ad aprire le danze della discussione, più politica che altro, è stato Alessio Manica, consigliere della Provincia autonoma di Trento, che ieri ha lanciato il sasso nello stagno. “Riguardo i Passi Dolomitici sono stati buttati via due anni e ancora non c’è alcuna proposta concreta”, ha ammonito. Il suo riferimento è a quanto messo in campo nell’estate di due anni fa per mitigare l’impatto sull’ambiente del turismo mordi-e-fuggi. “Nel 2017 – spiega Manica – le Giunte delle Province Autonome di Trento e Bolzano avevano avviato una sperimentazione che prevedeva, nei mesi estivi, la chiusura dei passi dolomitici per alcuni giorni al mese, con progetti come quello dei nove mercoledì green del Passo Sella (sotto il motto #dolomomitesvives), la previsione di tre domeniche ecologiche con i passi riservati alle bici e il progetto Dolomites Bike Day ad aggiungersi al SellaRonda Bike Day e alla Maratona Dles Dolomites”. Poi, più nulla. “Il traffico sui passi dolomitici va regolamentato”, ha detto Mario Tonina, assessore all’Ambiente della Provincia Autonoma di Trento e Presidente pro tempore della Fondazione Dolomiti Unesco. “Non ho mai detto di essere contrario alle limitazioni”, gli ha fatto eco Roberto Failoni, assessore provinciale al Turismo. “Peccato siano stati proprio loro due, assieme al resto della Giunta Fugatti, a decidere di sospendere già nei primi mesi del 2019 ogni tipo di sperimentazione volta alla riduzione e alla regolamentazione del traffico sui passi dolomitici”, ha spiegato Manica. Il tutto nonostante anche il presidente del Trentino-Alto Adige Arno Kompatscher disse che “servono scelte coraggiose, per affermare con responsabilità il valore della sostenibilità delle Dolomiti, che sia ambientale, economica, storica, culturale”. Ora, si sarà punto e a capo.

Non bisogna tuttavia incorrere nell’errore di pensare che sia un problema solo del Trentino-Alto Adige. Né solo delle Alpi. Né solo italiano. I problemi di mobilità si trovano tanto in Italia quanto all’estero. Tanto sulle Alpi quanto sugli Appennini. Basti pensare alle Valli di Lanzo in Piemonte, che sarebbero almeno in teoria servite da una ferrovia, la Torino-Ceres, che però sarà a mezzo servizio per l’estate in corso, in attesa della transizione della gestione, dal Gruppo Torinese Trasporti a Trenitalia. Il dilemma è capire cosa fare. Da un lato per preservare il patrimonio naturale. Dall’altro per evitare la depressione dell’economia di montagna. Per dare un colpo al cerchio e uno alla botte può però venirci in aiuto la tecnologia.

Delle due l’una. O si decide di regolamentare il turismo montano, anche a cominciare dai passi alpini, rinunciando quindi a introiti utili per le casse degli enti locali. Oppure si sceglie di non porre alcuna limitazione, con la conseguenza che i valichi più noti continueranno a essere testimoni di affollamenti, che aumenteranno lungo questa estate in cui il turismo di prossimità sarà quello prevalente. La discussione, troppo spesso, si è basata su questa dicotomia. Come se non esistesse una terza via, più armonica e meno polarizzata. La sensazione è che una terza faccia della medaglia, basata sul buonsenso e il senso civico, possa esistere. E si chiama Park & Ride. Ovvero, la possibilità di fornire un servizio integrato di mobilità sostenibile che permetta di parcheggiare il proprio mezzo di trasporto a valle, per poi optare di usufruire o di una navetta o di una bicicletta a pedalata assistita al fine di raggiungere la sommità. Certo, potrebbero obiettare i motociclisti, le emozioni che si provano pennellando i tornanti di montagna non possono essere replicati tramite una bicicletta, che sia muscolare o una e-bike. Ed è per questo che l’amministrazione locale di turno potrebbe decidere di aprire il passo in questione in determinate fasce orarie, solo per la viabilità motociclistica, calcolate in base allo storico degli afflussi, che si può ottenere tramite gli algoritmi di Apple e Google.

Ovviamente si tratta di una soluzione di compromesso, che punta a piccole limitazioni per l’una e per l’altra esigenza. Ma, del resto, se si vuole preservare un patrimonio di tutti, tutti dovrebbero pensare a ridurre gli interessi personali, e particolari, per privilegiare quelli della comunità. Nei primi giorni del lockdown, all’inizio di una condizione nuova per le generazioni che non hanno vissuto uno scenario bellico, molti intellettuali si domandavano come ne saremmo usciti, se migliori o peggiori. A oggi non vi è una risposta univoca, ma c’è un ventaglio di possibilità, di opzioni. Utilizzare l’occasione fornitaci dalla pandemia per ritrovare un rapporto con la natura, e il turismo montano nello specifico, da tempo dimenticato potrebbe essere una conseguenza virtuosa di un periodo straordinario. E che potrebbe essere utile per avere nuove, e migliori, consapevolezze sul mondo in cui viviamo.

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2 Commenti

  1. Graziano Grazzini

    Inutile girarci intorno; credo che l’unico sistema possibile nel periodo estivo è chiudere i passi alpini e istituire un servizio pubblico con corriera-navetta chiamiamola come si vuole e facendo pagare un biglietto. Tutto il resto credo improponibile.
    Graziano Grazzini

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  2. Alessandro

    La mia famiglia si è appassionata tardi alla montagna ma ci è sembrato da subito giusto andarci ed usare sul posto solo i mezzi pubblici. Se funzionano bene e sono integrati va tutto benissimo.
    Capisco i motociclisti, li vedo qui sulla Consuma…, ma non possono andare tuto il giorno su e giù su e giù.
    Alessandro

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