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Come l’economia di montagna può ripartire grazie alla banda larga

Giu 12, 2020

Fabrizio Goria

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In Italia c’è una montagna di serie A e una di serie B. La prima, focalizzata sul turismo invernale, continua ad attrarre capitali e investimenti. La seconda, incentrata su frequentazioni più intimiste e riflessive, è invece stata dimenticata. E nella fase economica post pandemia di Covid-19, solo in pochi pensano a come rilanciare proprio le aree montane di serie B. Eppure, basterebbe utilizzare la tecnologia per farlo. Come nel caso della banda ultralarga, ovvero l’internet super veloce. Per avere un triplo vantaggio: connettere i comuni con il resto del mondo, alimentare l’economia di montagna e spingere un turismo di prossimità basandosi su sostenibilità e rispetto per gli habitat naturali.

In questi ultimi due mesi abbiamo imparato a conoscere il lavoro della task force governativa guidata dall’ex numero uno di Vodafone, Vittorio Colao. Complici alcune delle più brillanti menti economiche con cittadinanza italiana, come Raffaella Sadun di Harvard ed Enrico Moretti di Berkeley, la squadra di Colao ha deciso di mettersi al servizio dell’Italia nella fase economica più dura dal Secondo dopoguerra a oggi. E lo ha fatto pro-bono. E lo ha fatto proponendo soluzioni semplici e, nella maggior parte dei casi, a costo zero per le spese dello Stato. Nessun nuovo esborso di denaro, quindi, ma semplificazione, razionalizzazione, ottimizzazione e adozione di iniziative già poste in essere. Tra esse, facile da intuire, c’è il capitolo sulla banda larga, che poi si collega alla rete cellulare di ultima generazione, il 5G. Due punti che rappresentano, negli altri Paesi dell’eurozona, un trampolino di lancio per le economie domestiche. E che in Italia vengono contemplati solo quando si parla di grandi centri urbani. Ma è davvero così cruciale pensare solo alle città con più di 100mila abitanti quando si parla di connessione a internet? O si tratta, come evidenziano numerosi giuristi, un diritto quasi fondamentale nel XXI secolo?

Una soluzione, oltre alla task force di Colao, la sta proponendo anche l’Unione nazionale comuni comunità enti montani (Uncem) presieduta da Marco Bussone. Che, anche nel cuore del lockdown che ha fermato il Paese per due mesi nel tentativo di arginare la diffusione del contagio da nuovo coronavirus Sars-Cov-2, non ha dimenticato quale sia la situazione del digital divide in Italia. Da un lato, la piena accessibilità alla fibra ottica. Dall’altro, l’assenza di connessioni internet stabili e veloci. E il caso vuole che, non sorprendentemente, nel secondo caso rientrino un numero considerevole di zone di montagna. Un esempio di ciò lo si è avuto lo scorso 31 marzo, nel pieno dei confinamenti pandemici. L’Uncem ha evidenziato che “il Piano banda ultralarga (BUL) è in ritardo di almeno un anno e mezzo in tutta Italia. I Comuni dove devono essere eseguiti gli interventi nelle “aree bianche” (rurali e montani) sono oltre 7.000. Ed è per questo che Uncem ha chiesto a Infratel e a Open Fiber di accelerare i tempi. Del resto, il programma già esiste.

A inizio maggio scorso, un nuovo intervento. “Il ritardo del Piano BUL – hanno scritto i Comuni con Uncem – è gravissimo e occorrono precisi interventi politici per sbloccarlo, non guardandolo però isolato dalle altre sfere del divario digitale. La rete sottodimensionata e appesantita in queste ultime settimane dall’utilizzo domestico e l’instabilità della banda fornita dagli operatori del mercato sono un limite importante all’efficienza del processo di innovazione sui territori, nel quale crediamo come Comune insieme con Uncem, e ciò è segnalato da tutte le aziende presenti che vanno dall’agroalimentare, al metalmeccanico, alle aziende di servizi, alle software-house”. Sì, perché se rilanciare l’economia nelle aree montane è, almeno in teoria possibile, lo si può fare basandosi su internet. Ma non con iniziative di facciata, bensì con interventi mirati. E sostenibili. Nello specifico, Uncem chiede che “i tempi del Piano BUL, dell’attuazione di una Agenda digitale per i territori montani italiani, di una strategia per il superamento del divario digitale nel Paese non si dilatino ulteriormente a danno delle Autonomie locali, delle imprese, dei cittadini. Come evidenzia Marco Bussone “serve uno scatto che dia fiducia in primo luogo alle nostre comunità. Confidiamo in un’azione politica determinata. Il futuro sta nelle comunità, intelligenti e interconnesse, smart. Di divari non vogliamo ulteriormente soffrire e insieme, tutti i Comuni e gli Enti locali, con Uncem, sono impegnati nel fare la loro parte. Le Istituzioni centrali e regionali siano al nostro fianco per una vera infrastrutturazione volta alla digitalizzazione del Paese intero, senza lasciare indietro nessuno. Le nostre comunità, vive e coese, con Uncem faranno la loro parte”.

Un concetto reiterato anche dalla task force di Colao. Il piano c’è, i fondi pure. E ne arriveranno altri, in larga parte a fondo perduto, grazie al fondo Next Generation EU che sarà definito dalla Commissione europea nei prossimi giorni. Non è un caso quindi che oggi Riccardo Luna, su Repubblica, utilizzi parole pesantissime per definire una situazione che non è degna della terza economia continentale.

“Quello che colpisce davvero della pesantissima eppure prevedibile bocciatura dell’Italia sul fronte del digitale, è il silenzio. Un silenzio assoluto. Nessuno, fra i partiti di opposizione, ha colto l’occasione per attaccare l’attuale governo – che in effetti ne è stato responsabile solo in quota parte, visto che è nato a settembre dello scorso anno e i dati si riferiscono a tutto il 2019 e quindi per azioni progettate nel 2018 -; nessuno, fra le forze della maggioranza, ha rivendicato la sconfitta per promettere che adesso si cambia musica, che abbiamo capito la lezione, che noi siamo l’Italia, diamine, il Paese di Meucci e Marconi, abbiamo fatto la storia dell’innovazione e rimonteremo questa terrificante classifica europea sullo stato della trasformazione digitale, il DESI, che ci ha visto perdere altre due posizioni, per posizionarci davanti a Romania, Grecia, Bulgaria e dietro a tutti gli altri”.

A questo punto ne va aggiunto un altro. Vale a dire che ripensare l’economia alpina non solo guardando al turismo di massa si può. E si può fare colmando il gap digitale tra le aree metropolitane e quelle montane. Laddove i piccoli produttori, gli allevatori, gli agricoltori, gli artigiani possono contare su una connessione internet veloce, possono avere un incentivo per la promozione del loro lavoro. Non solo. Specie a fronte degli effetti economici e psicologici del lockdown e della recessione che sarà, si andrà verso un ripensamento non solo delle propensioni alla spesa, ma anche del valore di tutti quei lavori “dimenticati”. Come sottolinea il Pew Research Center di Washington, DC, è lecito attendersi un sostanziale calo dei consumi nei prossimi cinque anni. Allo stesso tempo, è legittimo aspettarsi che si creino le condizioni per un esodo al contrario, dalle città alle aree rurali. Specie a fronte di una crisi occupazionale che, nel caso dell’Italia, sarà più pesante che in altre nazioni dell’area euro, in quanto arrivata su un tessuto economico già lacerato da diseguaglianze, problemi di accesso al mercato del lavoro e di formazione continua.

Ripartire dalla montagna, o meglio da Alpi e Appennini, tramite la banda larga si può. Il problema, come sottolineato tanto da Uncem quanto dagli stessi consulenti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, è che manca la volontà politica. Il timore è che a un errore storico se ne sommi un altro. Dopo aver dimenticato la sua vocazione alpina, l’Italia ha l’opportunità di sfruttare la più severa recessione degli ultimi 75 anni per rilanciarsi partendo dalle aree montane. Anche tramite internet. Perdere questo giro significherebbe scendere dalla giostra.

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