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In montagna dopo la quarantena, giorni di ordinaria indecenza sulle Alpi

Mag 27, 2020

Fabrizio Goria

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Impotenza. Questa è la diffusa sensazione che hanno vissuto molti appassionati di montagna che lo scorso weekend si sono diretti verso le Alpi. Presto è stato cancellato il sollievo di poter tornare a respirare aria sottile, calpestare sentieri e allestire una sosta su una via alpinistica. A causa delle resse che sono avvenute. A tal punto che i sindaci delle Alpi del Torinese hanno lanciato un campanello d’allarme. Impossibile commentare lo spettacolo lasciato dai turisti domenicali, tra affollamenti, code, mascherine abbandonate sui prati, picnic effettuati sulle piazzole dell’elisoccorso e pascoli rovinati. E così, tra il caos e l’incuria, molti Comuni delle valli limitrofe a Torino pensano di mettere il numero chiuso per gli accessi, oltre che a intensificare la presenza di controlli per il mantenimento delle più basiche regole di buonsenso. Un rispetto che è mancato in molti, troppi, casi.

Dalla Val di Susa alle Valli di Lanzo alla Val Soana, durante l’ultimo fine settimana si è vissuta una situazione paradossale. Come ha sottolineato La Stampa grazie ai reportage di Gianni Giacomino e Alessandro Previati, migliaia di torinesi hanno deciso di abbandonare la città e le sue periferie per dirigersi a pochi chilometri, verso le Alpi Cozie o Graie. Complici una giornata assai piacevole sotto il profilo atmosferico, il venir meno delle limitazioni al lockdown per contenere il nuovo coronavirus Sars-Cov-2, poi l’impossibilità di recarsi verso le spiagge della Liguria, storica meta di villeggiatura per i torinesi. Quindi via a cercare refrigerio dai primi caldi lungo le spiaggette del lago di Ceresole Reale, verso il Lago di Malciaussia, verso il Monginevro, verso ogni singola pozza d’acqua che si poteva trovare a un’ora o poco più da casa, meglio se con un prato comodo dove sostare. Legittimo, perché due mesi e oltre di confinamento possono aver contribuito a riscoprire montagne dimenticate da fin troppo tempo, come le Valli di Lanzo.

Peccato che invece che nel fine maggio 2020 a molti sia parso di essere in quello di un anno fa. Senza Covid-19, quindi. Che in Italia, con prevalenza nel Nord, ha provocato finora quasi 33mila vittime a fronte di poco più di 230mila casi. Le regioni più colpite? Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna e Veneto. Già, il Piemonte, che però ha un problema significativo di test. Con 4,36 milioni di abitanti, la regione amministrata da Alberto Cirio ha testato 293mila persone. La regione di Luca Zaia, circa 4,9 milioni di abitanti, oltre 600mila. Ciò significa che, da un punto di vista epidemiologico, è legittimo pensare che le cifre degli asintomatici (i quali hanno comunque carica virale elevata) siano del tutto poco chiare in Piemonte.

Cosa c’entra il Sars-Cov-2 con la montagna? Ci arriviamo subito. In molti avranno visto le immagini del sorvolo delle Frecce Tricolori, avvenuto lunedì, sul capoluogo piemontese. L’area di Piazza Vittorio e di Piazza Gran Madre non era solo gremita. Era strapiena di persone. Le quali hanno sentito l’esigenza di non rispettare né il distanziamento sociale né la corretta vestizione dei dispositivi di protezione individuale. Vale a dire, la mascherina. Che se uno dice “vado a mettere il naso fuori” dovrebbe intendersi come “fuori di casa”, non “fuori dalla mascherina”. Il mancato rispetto delle regole da parte di molti torinesi rischia di passare alla storia come uno dei maggiori propellenti per la diffusione di un virus del quale non solo conosciamo ancora poco, ma che non è scomparso. Nuovi focolai possono nascere, così come nacquero in Trentino-Alto Adige nelle valli a vocazione sciistica dopo il weekend dell’8 marzo, come evidenziato dall’Istituto superiore di sanità (Iss).

Se dunque non si ha rispetto del prossimo, il quale potrà anche essere uno sconosciuto ma è comunque meritorio della nostra massima attenzione sanitaria, come è possibile avere rispetto della montagna e del suo habitat? È doloroso scrivere queste frasi, ma chi si è recato verso le valli che circondano Torino si è dimostrato troppo egoista e superficiale. Non solo considerata una pandemia di cui non vi sono certezze sulla sua durata. Anche considerato ciò che è stato lasciato dopo il loro passaggio. Laddove fino al 18 maggio scorso c’erano gli stambecchi, come la strada che porta su a Balme, sono tornate le auto. Piene però di irresponsabili. E con le vetture sono ritornati i rifiuti mai trasportati giù in città, i selfie in situazioni di equilibrio precario, i telefonini con la suoneria accesa al massimo, l’ignoranza di chi ritiene che gli ambienti montani siano un patrimonio di loro esclusività e non inclusivo per natura.

Non bisogna pensare che sia stato un weekend del genere solo nel Torinese. Scene simili si sono vissute su tutto l’arco alpino e appenninico. Ma c’è un aspetto che lascia interdetti quando si parla della città guidata dal sindaco Chiara Appendino. La mancanza di coscienza civica, che passa anche dal rispetto della cosa pubblica. Questo è latente laddove c’è depressione economica. E Torino non ha mai superato il passaggio da città industriale a città olimpica, che poteva diventare un perfetto esempio di città metromontana, ovvero il nuovo concetto di città alpina, come spiegato da Filippo Barbera, sociologo dell’Università di Torino. Si è perso un treno. Ma perché si è perso? Che fine hanno fatto la cosiddetta classe dirigente e la cosiddetta società civile? Sono rimaste arroccate nelle loro torri d’avorio di Crocetta e Crimea, incuranti – con dolo – delle sacche di tensione sociale che si venivano a creare. Incuranti che la pianificazione delle politiche pubbliche nel lungo periodo debba per forza essere inclusiva. Quindi, l’impressione è che si sia creato un mix letale capace di accrescere il divario tra ricchi e poveri, la disaffezione all’interesse nella politica locale e territoriale, il distacco generalizzato dall’interesse verso ciò che è pubblico, e quindi in teoria usufruibile da tutti.

Questo terzo elemento è infatti ciò che si è ravvisato di più nelle valli piemontesi in questo primo fine settimana di parziale liberazione dai lockdown. Quale è il senso di campeggiare laddove il Soccorso Alpino può atterrare? Quale è il senso di occupare pascoli alpini al fine di prendere il sole, incuranti di quanto essi siano importanti per la sussistenza e la sostenibilità dell’economia di montagna, già colpita in modo significativo dallo spopolamento prima e dalla recessione che sarà poi? No, il senso non si trova. E chi pensava che la pandemia di Covid-19 potesse portare a una maggiore responsabilità sociale sta vedendo le sue certezze crollare sotto il peso dei fatti.

Se è vero che questa estate 2020 segnerà un cambio di paradigma per le aree meno antropizzate, quindi più difficili da raggiungere, è altrettanto vero che si rischia di provocare situazioni in cui i danni sono più elevati dei benefici laddove l’accessibilità non è un problema. Certo, qualcuno potrebbe obiettare che le comunità montane prima si lamentano della mancanza di turismo, e ora si crucciano del fatto che ce ne sia troppo. Il punto, tuttavia, non riguarda il mero turismo montano, ma la sua gestione in ottica responsabile. E qui si entra nella sfera dell’educazione del singolo. Le norme per fruire la montagna ci sono, e sono regole di senso comune, ben spiegate all’ingresso di ogni parco, nazionale o regionale, e riserva protetta. Perché sentirsi così egoisti da pensare di essere al di sopra di esse? Perché trasformare in una discarica a cielo aperto gli habitat montani, salvo poi lamentarsi qualora arrivino decisioni restrittive da parte dei sindaci che devono fronteggiare pure questa emergenza?

Nella vita in generale, e in montagna in particolare, dovrebbe valere il principio secondo il quale la mia libertà finisce laddove inizia la tua, e viceversa. Così non è stato in molti Comuni montani durante l’ultimo weekend. E si spera che si possa invertire la rotta per i prossimi, anche se il timore è che si ripresenteranno scene ignobili e comportamenti scellerati, che porteranno a locali limitazioni, e situazioni che possono portare a un extra lavoro i membri del Soccorso Alpino. Con la conseguenza che a soffrirne non sarà solo la montagna e chi la abita, ma anche chi la rispetta da sempre.

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2 Commenti

  1. Graziano Grazzini

    Cialtroneria, ignoranza, egoismo, menefreghismo è il raggiungimento alla massima inciviltà. Purtroppo sono tanti (troppi) i cittadini che compongono queste categorie. Le leggi per fermare questi barbari ci sono, ma non c’è chi le fa rispettare. Graziano Grazzini

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  2. Alessandro

    Siamo alle solite, purtroppo non è cambiato e non cambierà nulla, come ho già avuto modo di scrivere.Ma siamo proprio necessari al cosiddetto Creato (per chi ci crede, naturalmente)?

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