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Di giorni anomali e di nuovi modi in quarantena

Apr 22, 2020

Giulia Casarotto

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Un periodo così anomalo io non l’avevo mai vissuto…

Sentire questo mantra “Andrà tutto bene“ e allo stesso tempo notare con quanto livore la gente può esprimersi: chi si intrattiene a guardare quello che fanno gli altri, e chi a condannare questo spasmodico interesse per i fatti altrui (con il quale in realtà conviviamo da sempre). E chi si sente terribilmente privato di libertà di cui prima faceva comunque a meno, senza magari aver mai considerato questioni su basilari libertà civili permesse o negate in giro per il mondo. Ma poi, a onor del vero, anche chi riprende in mano i colori archiviati da un po’, o quel libro sul comodino da mesi, quel pensiero che non si ha mai la calma per inseguire e rendere progetto… Tutti con qualche incertezza più o meno pesante sul futuro, e mai come prima attenti al bene che rappresenta il famoso “essere in salute”. Da momenti come questo sono convinta da sempre esca il meglio, o il peggio di noi. In crisi personali è così, in crisi collettive lo stesso.

Trovo tutto amplificato, emozioni positive e momenti malinconici, e sono passata attraverso molte fasi, riconducibili a questo: inizialmente incredulità per quello che mi sembrava la prima tragedia davvero democratica della storia, ora consapevolezza che non è così, e non lo sarà mai. L’isolamento è: sostenibile, difficilmente sostenibile, o insostenibile, a seconda della classe sociale, dei metri quadrati in casa, della densità di convivenza, del grado di armonia che regola la convivenza, e soprattutto a seconda del mondo in cui si vive.

Passerà, e ci troveremo coinvolti in un obbligo al quale forse dovremmo pensare già: l’aver Cura. Di noi, delle relazioni, e già basterebbe, per raggiungere e migliorare a catena molti aspetti del nostro vivere… l’aver cura e maggior consapevolezza, per quanto possibile, dei meccanismi che regolano il quotidiano.

E poi c’è un altro mantra che si sente molto: ”la natura si sta riprendendo i propri spazi”. Sì, è vero, ma l’abbiamo sempre avuta sotto agli occhi, Madre Natura, e si poteva accorgersene oppure no. La Natura è sempre stata più grande di noi. Questo implica una maggiore forza, un maggiore istinto di sopravvivenza, un’adattabilità veloce, più della nostra di esseri umani. Per quanto spesso la Natura debba soccombere, esiste una sua capacità di evoluzione alla quale dovremmo tornare. Noi ci riempiamo la bocca con parole come resilienza, ma quando è ora non sappiamo come iniziare. Questa è l’ora.

Ecco… l’arrampicata per me è un modo fondamentale di vivere la Natura, di apprezzarne l’energia vitale. Ne ho la prova: in questo istante chiudo gli occhi. Mi focalizzo su:

-Un profumo: ed emerge resina di bosco, e odore di pelle sfregata di sole di magnesio di roccia.
-Una visuale: e vedo l’abbraccio che formano le sagome degli abeti in quell’ora tra il tramonto e la notte, quando ci sei dentro, a cenare sotto al cielo.
-Un rumore: e sento il vigore dei ruscelli di montagna, quando sbattono veloci su scivoli di granito. Oppure il canto più dolce del fiume, quando rallenta.
-Una sensazione: la famigerata ADERENZA della pelle sulla roccia.
-Un gusto: la scontata birra fresca di fine giornata in falesia, o in bosco, fra i massi.
Questo è quello che esce da questo esercizio dei cinque sensi, e tutto questo è libertà. Per me. Una delle libertà. E tutto questo è anche arrampicata. E’ innegabile che questo connubio manchi molto, ma tant’è, siamo fermi, a casa, in quarantena, siamo dentro.
E allora? Che si fa?

Un gruppo WhatsApp per i turni tra babbo, io, moroso, o più spesso per gli appuntamenti, abitando noi in un bifamiliare praticamente collegato al centro dal muro di arrampicata e accade che ne sta uscendo il mese più intenso degli ultimi anni per allenamento a secco. Accade che usciremo da questa quarantena con le unghie tutte rotte (come succedeva prima, ma adesso sono rotte diverse da prima) per tutte le manate fuori mira date alle prese, in un sentirsi sempre più brutalmente dinamici. Dopo esserci inventati blocchi, intrecci di blocchi, somme di blocchi in dieci metri quadrati di pannelli salvifici in taverna. Dopo aver rivisto compulsivamente “The real thing” con Ben Moon e Jerry Moffat a Fontainebleau, Nalle che in un giorno completa il circuito di blocchi più duro della Foresta (il nero ED+ a Cuisinière che si chiude con Duel), Catherine Destivelle che si ingaggia sul granito delle Alpi in “Au-delà des cimes” e l’immancabile Alex Honnold in “Free solo”…e poi video su Johnny Dawes, che Mauro scova con devozione, su Nina Williams e i suoi highball che fanno impressione. Ma anche dopo aver rispolverato “Un mercoledì da leoni”, per la voglia di stare con gli amici, “Into the wild”, per la voglia dei boschi e degli spazi, “Il grande Lebowski” e “Eccezzziunale veramente”, per un’attitudine all’assurdo che permane da prima della quarantena. Infine “The Blues Brothers” e “The Commitments” per onorare blues e soul.

Usciremo con un giardino finalmente pienamente VISSUTO, tra le fasi “Reggia di Versailles”: aiuole, fiori, orto e potature, e “Camp 4”: slack line, barra fissa incastrata tra i rami e la quercia allestita ad albero natalizio con barra, travetti mobili, scala Bachar di corda e manici di scopa a spezzoni… Calli nuovi sulle mani e grosse risate nello scoprire quanto si può essere scarsi.

Chiaro che poi avrò quella tremarella ad andar sulla roccia ancora più di prima, che dovrò riaddomesticare i miei schemi mentali e motori, che non farò sicuramente la prestazione del secolo, e forse neanche dell’anno… Ma in fondo… chi se ne frega. Tutto questo mi dona una soddisfazione che vorrei non abbandonare più, tutto questo è la mia resilienza, è il mio portarmi il bosco, i prati e il fiume anche in casa, è l’allenare e sperimentare il dono della mente di volare in altri luoghi pur restando ancorati a dove si è. Nell’attesa, e nell’augurio a chi li ama… di tornare a frequentarli.

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