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Solo un grande sasso, cronache dallo Scarason. Episodio 2

Apr 16, 2020

Michele Fanni

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Azzannando voraci le ultime mestolate di pesto, proseguiamo nella nostra ardita disamina. I gagliardi menaggi della prima parte lasciano ora spazio a elucubrazioni d’ampio respiro. Si ciancia di tenebrose mitologie ed etimologie strampalate. S’intravede a tratti anche un po’ di quella (e mi sbilancio) poesia che sembra abitare i cuori di questi rudi omacci (e donnacce) della verticale. D’altronde, siedo a tavola con gli ultimi romantici.

Fulvio, classe 1954, da quasi quarant’anni «si lascia trasportare dal fascino delle avventure solitarie e dal gusto della ricerca»[1], ha aperto centinaia di vie soprattutto tra Marittime e Cozie, è Accademico del CAI, Full Member dell’Alpine Club britannico, nonchè Accademico del Gruppo Italiano Scrittori di Montagna. Nella sua carriera di insegnante di educazione fisica ha dovuto sopportare come allievo, tra gli altri, anche quella pompa di Gabriele Canu.

Nel 2012 ha pubblicato un libro fondamentale per la storia verticale delle Liguri (e delle Alpi in genere): Scarason. Nello stesso anno, insieme ad Angelo Siri, ha realizzato il film-documentario: Scarason, l’anima del Marguareis.

Insieme a Guido Ghigo, ha fatto la quarta ripetizione dell’Armando-Gogna e negli anni ha avuto modo di aprire ben altre due vie su questa parete[2]. Diciamolo con tranquillità, Fulvio è il più grande esperto di questa montagna.

Scarason in inverno, foto P. Godani

Pietro, classe 1987, cavadenti di professione, ma soprattutto alto esponente del più nobile alpinismo ravanone. Guardando al presente, tra gli spiriti montagnini delle Alpi del Sud, è senza dubbio il romantico per eccellenza. Dopo essersi fatto le ossa sui brulli fianchi del Beigua, ha intrapreso la strada delle terre alte, facendo in pochi anni manbassa d’ogni vetta mitica o sperduta che fosse. E così eccolo vagabondare dalle Marittime alle Dolomiti, pascolando spesso nella zona del Bianco. Tuttavia, a suo dire, il  grande amore restano le Liguri, nelle quali ha concentrato la sua attività più recente. Scala su roccia, neve, ghiaccio, terra, sabbia, da solo o mal accompagnato. Da qualche anno, compreso quanto la val Pesio potesse divenire sua golosa terra d’eroici tenzoni, s’è fatto novello Don Chisciotte scagliandosi impavido contro friabilissimi mulini a vento.

Episodio #2

Marguareis, tra solitudine e romantici orrori.

Visto che mi ritrovo ad avere qui una tavolata di espertissimi delle Liguri e del Marguareis ne approfitto!

Al ché parte una giostra per decidere chi abbia aperto più vie, chi ne abbia ripetute di più, chi sia stato in parete più giorni.

Rileggendo articoli, racconti, cronache sulla questione Scarason mi son reso conte che tutti ne parlano come di una parete repulsiva, tetra, angosciosa e marcia. Poi Gabriele se ne esce e mi dice che lo avete convinto a venire quando ha capito che si sarebbe divertito!

Provo anch’io a ribaltare la prospettiva e vi propongo un esercizio: tiratemi fuori un aggettivo benevolo per rivalutare le sorti di questa povera montagna tanto bistrattata.

Durante un primo tentativo sulla via Diretta: Sergio Calvi e Andrea Parodi la mattina dopo il primo bivacco [foto F. Scotto]

GABRIELE: Io se posso cito Pietro e propongo: ghiotta (seguono ghigni beffardi).

PIETRO: Bé, io direi misteriosa.

ALICE: Eh, incredibile.

F: Mah, emozionante (con marcata cocina savonese).

P: Termini che tuttavia si aprono ad ampie interpretazioni semantiche, lasciando aperto il piano di lettura.

FULVIO: Un luogo da grandi emozioni.

P: Un Alpinsimo di Ricerca, del Gogna, sicuramente ha aperto le porte al mito, ha dato un senso al tutto. E devo dire che non ha detto delle cazzate (risolutivo come al solito).

Vero! Tuttavia non sono sicuro che Gogna ne parlerebbe come di un’esperienza divertente!

P: Bé, ma lui ha vissuto anche un’esperienza che noi non abbiamo vissuto. L’Armando-Gogna di adesso non è assolutamente paragonabile alla via di allora. Magari quando c’è passato Fulvio era già più simile, ma ora è un altro discorso. Adesso ‘nsomma, è stata parecchio bonificata dalle ripetizioni.

F: Quando con Angelo Siri abbiamo girato il film sullo Scarason, ad un po’ di personaggi abbiamo chiesto di sintetizzare la parete in una parola, però ora, sul momento non mi ricordo di preciso cosa hanno detto. Mi ricordo però bene le espressioni (risata sadica). Qualcuno la definisce repulsiva, ma non mi ricordo chi.

P: Un amico appassionato di yoga, che non scala, era riuscito a definirla bella (e a’ridaje a sganascarsi).

In un articolo di Fulvio si legge: «la parola Scarason ha il sapore di sensazioni angosciose»; ed anche Gogna parla nei suoi diari di quanto già il nome sia potente, evocativo; per quanto poi voglia semplicemente dire pino nano.

Ebbene, in preda a strane elucubrazioni sono andato a cercare l’etimo di esplorare. Ci sono diverse ipotesi, non ha una spiegazione chiara, tuttavia sembra provenire da ex ploro, ovvero in termini venatori o militari: far uscire allo scoperto qualcuno o qualcosa attraverso un grido, un richiamo. In un certo senso evocare. Qualcosa che inizialmente non si vede, e potrebbe quasi non esistere, viene alla luce solo grazie alla mia volontà di far sì che si palesi. Tanto più Ga e Fulvio hanno aperto una via da quelle parti che si chiama Nella tana del drago.

Fulvio Scotto in apertura sulla Diretta (1987)

Vi sentite in qualche modo evocatori d’avventura quando andate a cacciarvi nei guai? Creatori, maghi o magari alchimisti?

G: Sicuramente ha a che fare con la creazione, e in questo senso si può avvicinare all’idea di arte.

P: Ma infatti si parla anche di stile, e a seconda di come organizzi il tuo muoverti in parete, allo stesso modo vai a dare una forma particolare al risultato. Questo sicuramente sì.

G: Le salite di questo genere qui sono proprio improntate ad una ricerca in senso creativo, forse se il problema fosse stato “come arrivare in cima alla montagna”, da esploratori ottocenteschi, il discorso sarebbe stato ben differente. Allora l’idea era quella di cercare il modo più semplice per arrivare in cima. Qui invece siamo andati noi a cercare qualcosa di non evidente.

P: Per me in realtà c’era un’idea in partenza, ovvero fare una via di misto sullo Scarason. Trovando quest’idea affascinante ho voluto cercare delle possibilità. La linea c’era, ed era fattibile tanto che l’abbiamo scalata quasi tutta in libera, solo un passo di A0, ma quasi più per un diverbio fra noi e la difficoltà di chiodare, non tanto per la difficoltà in sé. Un passo comunque liberabile, vabbé. Il gioco era trovare una linea logica, sostenuta, ma non impossibile su quella parete. Trovarla è stato bello. Avevo quest’idea in principio che, piano piano, ha preso forma. Non volevo sicuramente inbelinarmi per un’artificialata dove viene necessario forzare per passare. Poi naturalmente uno ha delle idee e deve anche un po’ vedere cosa trova.

Vista sui tiri 9 e 10 della Diretta durante tentativo solitario (dicembre 2018) [foto. P. Godani]

Il gioco in questo caso mi sembra sia definire il discrimine tra trovata e inventata. Tu Pietro l’avevi vista, ma se mai ci fosse andato qualcun altro probabilmente non l’avrebbe ugualmente riconosciuta, o sbaglio?

P: Ah bé, sicuramente non sono in tanti che passano intere giornate a ravanare da quelle parti (risate a go-go).

F: È la differenza tra guardare e vedere.

P: Io ho sempre sognato una via fattibile in piolet, lassù, quindi ci avevo elucubrato tanto.

F: Io posso testimoniare che Pietro mi ha indicato e costretto a guardare linee anche molto più terror di questa (con sincero disgusto).

A tal proposito sempre Gogna parlando delle Liguri scrive: «tutto è sempre un po’ triste […], Anche quando i colori sono più belli del consueto, c’è sempre la solitudine e la quieta rassegnazione della gente. Una musica con uno sfondo di rassegnato dolore accompagna le visioni incantevoli di queste valli, un dolore accettato intrinseco». Vi riconoscete in questa visione?

P: Sicuramente non è la Valle d’Aosta e non è il Trentino. Non c’è quella stessa economia turistica. Le montagne hanno un’aria un po’ più da cenerentole.

A: Secondo me erano anche altri anni, adesso uno potrebbe quasi essere portato ad allontanarsi dalle Dolomiti dalla Valle d’Aosta e invece di scegliere le vie più battute, cercare luoghi come questo. Quello che ieri poteva sembrare una vallata malinconica, oggi riserva per i nostri occhi un nuovo potenziale, grandi margini di possibilità.

P: Se vai a fare una via d’inverno sul Marguareis è molto difficile beccare qualcuno.

A: Noi eravamo a Ferragosto sulla Pera, e sentivamo al rifugio Garelli un gruppo suonare per la festa del rifugio. Era incredibile, ci sembrava quasi che la musica arrivasse dalla base della nostra parete. Era anche piacevole, lo sentivo quasi come un nostro modo, molto distaccato certo, di partecipare alla festa. In realtà eravamo in parete, molto soli, lontani. Il 15 d’agosto oramai dov’è che sei solo? Anche in montagna, dico, giusto sulla Pera lì al Marguareis. È stato molto figo.

P: È una valle che offre ancora delle possibilità d’avventura che altri luoghi non hanno più. Ormai becchi casino persino sul Cerro Torre. Gogna forse all’epoca non aveva ancora vissuto i problemi di saturazione che viviamo oggi anche e soprattutto in montagna.

A: Attività come il ghiaccio, ormai sono davvero problematiche sotto questo punto di vista.

G: Vorrei fare un appunto però, se ci pensate quest’aspetto è molto legato all’avvicinamento per arrivare a certe pareti (col fare di chi insinua, ma con diplomazia).

P: Non c’entra niente! Vai a vedere sulla Nord delle Jorasses quando è in condizione! E ci vogliono sei ore (caustico).

G: Sì vabbé però quella lì è una salita mitica, che non puoi confrontare con la nostra situazione.

P: Sì, però per dire: lì ci vanno sei ore, è una salita difficile e comunque ci trovi un inferno di gente, quando è in condizione.

G: Sì, ok, ma se prendi tipo quella via che avete fatto di recente vicino a Cogne, la Favola di Alice, è un conto. L’altro giorno sono andato a fare Spiritella sul Frisson, certo non sono confrontabili come difficoltà, ma per questa ci vanno 3 ore di avvicinamento, chissà quanti si sbattono per andare a ripeterla. Fosse ad un’ora dalla macchina ci sarebbe il mondo, perché è anche bella. Ma il fatto che sia lontana ti porta a fare una scelta (quasi convinto di aver avuto la meglio).

P: Non sono così d’accordo con questo tuo discorso (deciso, ma ammorbidito).

Pietro tu dici che oramai sotto al Marguareis ti senti a casa, cosa ci trovi in questa valle?

Andrea Parodi sulla placca del 9° lunghezza, verso il terzo bivacco, in apertura sulla via Diretta (1987) [foto F. Scotto]

P: Sicuramente è malinconica, però è selvaggia. Il paesaggio ha un non so che di triste, anche queste  pareti dirupate, ‘ste cenge sfasciose, la roccia di qualità scadente. D’inverno è come le città sporche, dove la neve copre un po’ la monnezza, diciamo, e lì fa lo stesso, ma col detrito. Armonizza il tutto e d’inverno si fa tutto più bello. Ma anche d’estate è bello, è un posto selvaggio, misterioso, con ambienti assurdi. Il fenomeno del carsismo, tutte queste grotte! Pensa anche solo alla grotta sotto ai pancioni, minchia è una grotta gigantesca, fatta a caso, con ‘ste lastre messe a caso (l’occhio si è fatto allucinato e le porte della percezione si sono schiuse).

A: Ma anche l’antro alla base della Pera è bellissimo.

P: Cioè, vedi dei paesaggi assurdi, imponenti, misteriosi, forme particolari. Ti direi l’ideale romantico dell’orrido. Forse si avvicina molto alla bellezza romantica, probabilmente lo aveva già detto anche Gogna. Una natura, anche repulsiva ma che nasconde un fascino magnetico. È bello! Chiaro, devi avere una sensibilità di un certo tipo, per un altro magari è un ammasso di cacca. In questo posso capire che sia selettivo. D’inverno una cosa che mi ha sempre colpito è vedere l’alba da sotto lo Scarason. Arriva l’alba e d’improvviso si alzano in volo stormi di gracchi che iniziano a girare in cerchio e son tanti. Girano, girano e tu ti senti sospeso dal tutto. Poi vedi la piana laggiù in fondo. Chiaramente la civiltà è lì. Paradossalmente è molto vicina, ma anche molto lontana. Questo senso di isolamento è davvero forte (col cuore in mano).

Guido Ghigo all’uscita dal buco del primo bivacco sulla Armando-Gogna (1982) [foto F. Scotto]

F: Forse questo sentire consapevole di essere isolati dal mondo, pur avendocelo lì. Invece alla Leschaux, bah, ti senti in un ambiente severo, ma circondato da altre persone. Se dai una patta per terra qualcuno se ne accorge.

P: A me è piaciuto da matti l’Eiger come lo abbiamo fatto noi[3] perché eravamo tra le ondate.

F: Stai registrando vero (rivolgendosi a me colmo di stupore)? L’ha detto sul serio? «Mi è piaciuto da matti l’Eiger per come lo abbiamo fatto noi?!» (qui il menaggio raggiunge picchi elevatissimi).

P: No, vabbé intendo che eravamo in mezzo al nulla e non abbiamo visto un cane, abbiamo visto qualche luce sopra, qualcuna sotto, ma noi eravamo soli. È ghiotto così. Nessuno che ci sia passato sopra la testa piantandoci i ramponi sul casco, o scene del genere. Son fortune oggigiorno (cerca di ritrattare addolcendo le precedenti dichiarazioni).

F: Sì in quattro giorni non abbiamo visto nessuno. Lì, sospesi fra le nebbie.

Lo Scarason a me ha dato anche quest’impressione quando sei in parete: se pensi di dover scendere, o ritirarti per venirne fuori, subito arriva una morsa che ti prende.  Magari stai sentendo delle voci provenire dal fondo del vallone, dal gias, e ti viene subito da cercare la loro attenzione per salutarli, imbastire un contatto umano.

Fulvio Scotto all’uscita della via Armando-Gogna dopo la prima salita senza bivacco, in cielo spunta la luna (1982) [foto G. Ghigo]

P: È strano sia d’estate che d’inverno. D’inverno è più radicale perché proprio non vedi nessuno.

Anche nei miei tentativi sulla Diretta[4], non vedevo mai nessun per tutto il vallone, è raro beccare gente in giro.

F: Sul Bianco una sensazione del genere è difficile da trovare, devi proprio andartela a cercare in qualche posto strano.

P: O con condizioni strane! Provi qualche linea tosta quando fa schifo e poi scendi (sempre un poco caustico).

G: E incontri i draghi (risa compulsive)!

F: Se solo c’è una via in condizioni quasi sicuramente becchi gente.

A: Guarda adesso Beyond[5], dove c’è sempre gente a ripeterla per quanto sia una via molto impegnativa anche quando la trovi in buone condizioni.

F: Anche solo l’idea di andar là, fare la corsa per prendere la funivia, scendi dalla funivia e mettersi a correre, ti è già scappata la voglia di partire!

P: È stressante! Poi tutti gli altri van più veloci di te, tutti di corsa. Poi se arrivi tardi ti becchi i pezzi di ghiaccio in faccia per tutta la via. Poi certo, quello che vai a fare è oggettivamente bello, perché comunque sono vie magistrali. Le vie di riferimento, son vie belle, non raccontiamoci palle! Sullo Scarason la dimensione è più genuina, altrove diventa complicata ripeterla. Ci credo che poi Beyond è più bella, però è proprio diverso.

G: Ma Gogna non si riferisce specificatamente all’isolamento, o sbaglio? Parla di rassegnazione.

A: Rassegnazione forse però di chi viveva in quelle valli all’epoca.

 

Fine del secondo episodio.

[1]Come si legge nell’ormai leggendario Montagne d’Oc, pubblicato insieme ad Andrea Parodi e Nanni Villani nel lontano 1985. Oggi una sorta di Bibbia per chiunque frequenti le Alpi “dal Col di Nava al Monviso”.

[2]Nel settembre dell’87 Fulvio, insieme ad Andrea Parodi e a Sergio Calvi, apre la via Diretta (ED+), mentre nel luglio 2011, con Gabriele Canu, Nella tana del drago (ED-).

[3]Nel 2015 Fulvio e Pietro ripetono la via Heckmair sulla parete Nord dell’Eiger. Un’estenuante quanto mitica vicenda che li vedrà impegnati per ben quattro giorni.

[4]Pietro, pervaso da un fiammeggiante spirito donchisciottesco, ha da anni un ambizioso project: salire in solitaria invernale la via Diretta. Prima o poi avremo modo di parlarne.

[5]Beyond Good and Evil è la famosa e difficile via aperta da Marc Twight e Andy Parkin nel 1992, sulla parete nord dell’Aiguille de Pèlerins .

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