Tanta neve, poi pioggia, caldo e di nuovo gelo, tanto gelo. Sono gli ingredienti che in meno di due settimane hanno completamente stravolto le condizioni sul Cimon di Palantina, cima dell’Alpago che malgrado i suoi 2190 metri di quota, in questi giorni ho offerto una versione invernale a dir poco rara. Così, quasi dal nulla si sono create diverse opzioni di salita, due delle quali oggi portano i nomi di Piatto d’Argento e Unicorno. La prima è una via di 400 metri M4, AI4 aperta il 5 febbraio da Giovanni Zaccaria e Andrea Gamberini, la seconda è stata tracciata in due riprese da Barry Bona, Diego Toigo e Santi Padrós, il 5 e il 15 febbraio: M6+, AI5+.
Di seguito i resoconti delle due aperture, ricevuti dagli apritori
Piatto d’argento, un’avventura regalata.
Di Giovanni Zaccaria (foto archivio G. Zaccaria)
Solitamente chi apre nuove vie è geloso dei suoi piccoli mondi nascosti e tiene per sé le possibilità ancora da scovare sulle pareti che meglio conosce. Non è il caso di Barry e Santi.
Solitamente chi apre nuove vie realizza un sogno accarezzato per anni di osservazioni e tentativi, in compagnia dei soci con i quali forma una cordata affiatata. Non è il caso mio e di Andrea Gamberini. Io e Gambero ci conosciamo in un buio parcheggio di Ponte nelle Alpi, ancora addormentati prima del caffè. Facciamo il materiale al volo, senza troppe velleità di fast and light, con l’approccio conservativo di chi non conosce e non si conosce. Siamo due che non sanno poi tanto dove stanno andando a cacciarsi e cosa gli riserverà la giornata. Non siamo mai stati sul Cimon di Palantina, non abbiamo mai arrampicato insieme. Cosa ci facciamo qua? Barry Bona di mestiere fa lo scultore, è il local dell’Alpago nel senso più genuino del termine. Ha aperto quasi tutto (o forse senza quasi?) ciò che è stato scalato con le picche sopra il terrazzo di casa sua. Santi Padros è la macchina da ghiaccio delle Dolomiti, alpinista e guida alpina innamorato della natura in ogni sua forma, appassionato ed attivo come pochissimi. Loro hanno pensato che la giornata fosse più bella se condita di amicizia, in più cordate l’entusiasmo si propaga. Noi ci siamo fatti coinvolgere senza pensarci troppo, come Ulisse con le sirene, barba ghiacciata e piccozze a parte.
È umido mentre saliamo tra i faggi che circondano Col Indes, che giornataccia. Sudo mentre trascino uno zaino troppo pesante e gli sci da freeride alla prima uscita di stagione, complici gli impianti chiusi e lo sci leggero spezzato giusto il giorno prima. Evviva. Le nebbie ci avvolgono, spesse come le coperte che abbiamo abbandonato troppo presto questa notte. Aumenta il numero degli interrogativi. Barry dice che schiarirà, che c’è una bella parete sopra le teste, dentro le nuvole. “L’ho sbinocolata ieri, è in buone condizioni.” Sarà. Sarà che sembra tutto storto, ma sono quasi stupito quando il Cimon ci degna di uno sguardo. All’attacco Santi organizza un complicato trasporto materiali per portare gli sci alla base del canalino dove poi scenderemo in doppia. Barry parte per il primo tiro. “Dove andate?” Gli chiedo, ancora una volta senza capire. “Perché non salite quella goulotte sulla destra? È per caso una via già aperta?” “No, in realtà, non si è mai formata così bene come quest’anno! Con il Santi però ci cacciamo su questa linea un po’ più effimera!” Mi risponde Barry. “La goulotte sembra fantastica, è lì tutta per voi. Andateci, vi divertirete un casino lassù!”
Io e Gambero ci guardiamo e attacchiamo quella che effettivamente sembra la linea più logica, diretta ed attraente. Non può essere vero. L’arrampicata è divertente ma a tratti delicata. Difficile dare un grado, facile commettere qualche errore: ci muoviamo con calma ed esperienza. Il regalo prende forma man mano che saliamo tra zolle erbose e placche di ghiaccio, e prende ancor più valore quando a metà parete riceviamo la chiamata di Barry: “Gio, tutto bene? Noi troppe scariche dall’alto, ci siamo calati. Se deviate verso sinistra probabilmente finirete sulla Vazzoler, se continuate dritti invece uscite in cima con una linea indipendente. Forza che vi manca poco!” Io e Gambero stiamo facendo del nostro meglio, adesso ci sentiamo quasi in colpa. Ci hanno regalato la via e poi hanno dovuto rinunciare. Gambero taglia la cornice sommitale al primo pomeriggio, ci battiamo il pugno del guanto fradicio e rovinato. Scendiamo tra le scariche di neve umida, è uscito il sole, il tramonte sarà stupendo. La birra a Tambre, per quanto corposa e di soddisfazione, è un poco amara. Barry e Santi si accordano per tornare a completare la loro opera il prima possibile, dopo qualche scultura, un po’ di legna da fare, qualche giornata didattica su ghiaccio e le altre solite cose della vita in montagna.
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