Giorno di Pasqua, sole e cielo azzurro sono una tentazione cui non si resiste. Padre e figlio, entrambi residenti in Valle Aurina decidono di uscire per un’escursione sulla montagna di casa, il Monte Lupo (1978 m) nel gruppo delle Vedrette di Ries. La giornata procede nel migliore dei modi, come dovrebbe essere per ogni giorno di festa trascorso in montagna, salvo al tempo del coronavirus, da cui il divieto di uscire se non per valide ragioni, stabilito dal Decreto del presidente del Consiglio dei ministri. A un certo punto, il padre di 50 anni viene colto da un malore e si accascia a terra, davanti agli occhi increduli del figlio, sui 19 anni. Nella concitazione del momento c’è anche un terzo soggetto, un escursionista solitario che transita vicino alla coppia in difficoltà. Sebbene venga incalzato dal ragazzo con esplicite richieste di aiuto, l’uomo – non ancora identificato – dice di non voler aver nulla a che fare con quanto sta accadendo e si dilegua nel bosco, a una quota di 1800 metri circa. Il ragazzo riesce comunque a farsi forza e a dare l’allarme, ma prima dell’intervento dei soccorsi assiste inerme al decesso del padre.
Sul posto è intervenuta una squadra di sei omini del Soccorso Alpino dell’Alpenverein Südtirol i quali, vista la presenza di ampie zone boschive, sono saliti a piedi per 400 metri di dislivello con l’attrezzatura in spalla, supportati da un elicottero giunto da Bolzano, con un settimo operatore a bordo. “Quando siamo arrivati abbiamo cercato di rianimare l’uomo con l’AED (defibrillatore portatile nda) ma non c’è stato nulla da fare” spiega Josef Auer dalla stazione dei soccorsi della Valle Aurina. La salma dell’uomo è stata trasportata a valle, così come il ragazzo, che comprensibilmente sotto shock non ha riferito della terza persona ai carabinieri arrivati dalla vicina stazione di Cadipietra. Carabinieri che, confermano dal Comando provinciale di Bolzano, già oggi sono tornati sul posto per cercare indizi che possano chiarire i fatti, riservandosi di ascoltare il 19enne non appena possibile, vista la delicatezza del periodo.
A prescindere dal fatto che la coppia di escursionisti si trovasse in montagna malgrado l’esistenza di un divieto esplicito, quindi passibile di denuncia e sanzione amministrativa, ciò che più colpisce di questa drammatica vicenda è il comportamento del terzo soggetto. Se quanto è noto finora verrà confermato nelle sedi opportune, l’uomo in questione sarà colpevole di omissione di soccorso, reato per il quale è previsto anche il carcere. Diversamente, qualora si fosse fermato e avesse aiutato le persone in difficoltà – comportamento che eticamente chiunque dovrebbe adottare, a prescindere dalla legge – sarebbe verosimilmente stato denunciato per mancato rispetto del Decreto, da cui una sanzione amministrativa variabile tra i 400 e i 3.000 euro. Va da sé che fino a quando i fatti non saranno accertati dalle autorità e il terzo soggetto non avrà un nome e un cognome, possiamo ipotizzare che l’omissione di soccorso sia avvenuta per sottrarsi al pericolo di essere identificato durante un’escursione vietata, evitando così la multa. Considerazione che spiega la gravità dell’episodio. La seconda ipotesi è che il terzo soggetto avesse l’obbligo di quarantena. In tal caso, chi viene meno al rispetto del Decreto pur essendo soggetto a quarantena, quindi positivo al test covid-19, rischia la reclusione prevista dall’articolo 452, primo comma, n. 2, del codice penale. Nemmeno in questo caso sarebbe comunque tollerabile il mancato soccorso a un omo morente. Il concetto è chiaro: dobbiamo rimanere a casa.
Lo ribadiamo ancora una volta rilanciando l’appello del CNSAS datato 10 marzo. Il Paese è in difficoltà: i medici e gli infermieri del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico – CNSAS sono impegnati insieme agli altri colleghi ad assistere migliaia di contagiati dal nord al sud Italia. Sapete bene che per effettuare un soccorso speleologico in grotta o un soccorso alpino in alta montagna dobbiamo impegnare decine di operatori, compreso il personale sanitario. Immaginate quindi le difficoltà a cui andremmo incontro in questo momento per effettuare un soccorso, un soccorso che naturalmente metteremmo in atto, ma che potrebbe innescare una delicata gestione post intervento. Ci sarà tempo per scalare nuovamente una montagna, ci sarà tempo per esplorare di nuovo insieme una grotta. Adesso però è il tempo di fermarsi. Il tempo di essere responsabili verso sé stessi, verso gli altri e verso l’Italia. Come è scritto nella Costituzione italiana: la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Dobbiamo difendere questi valori, dobbiamo salvaguardare i nostri medici, i nostri infermieri e l’Italia da un collasso del Servizio Sanitario Nazionale. Non vengono chiesti sacrifici immani, non viene chiesto di scalare una montagna da 3000 metri: viene chiesto di rimanere in casa per un breve periodo di tempo.
Tutto verissimo, non si dovrebbe mettere in difficoltà il servizio soccorsi e medico…tutto ciò se il servizio suddetto fosse tollerabilmente vicino all’introito in tasse che il governo e province ogni anno si prendono dai “buoni” cittadini onesti che con queste si attendono servizi al pari…ma in 30 anni il servizio sanitario è stato violentemente dimezzato ingiustificatamente…..quindi, domanda, perché noi cittadini dovremmo “civilmente ubbidire” a chi ci ha derubati….