È un fatto: in questo imprevedibile inverno 2020 accadono cose ben al di là della nostra umana comprensione. Nella copiosa serie di eventi che l’universo pone sul tavolo delle nostre quotidiane esistenze capita l’inimmaginabile. A me, ad esempio, è successo di ritrovarmi d’improvviso carambolato a gozzovigliare con i più vispi ravanatori del panorama ligure. Sia chiaro, ravanatori di gran classe. Gente follemente (ma folli sul serio, intendiamoci) innamorata delle Alpi Liguri, del Marguareis e soprattutto del famigerato Scarason.
Succede così che, in un ventoso pomeriggio di gennaio, vengo prelevato dal grande Fulvio Scotto, massimo esperto di storia verticale delle Liguri e non solo (avremo modo di conoscerlo meglio, tranquilli), il quale mi carica sulla sua corazzata voiture e punta su Finalborgo. Mezz’ora dopo siamo, gambe ben salde sotto ad un tavolo, pronti ad ingozzarci in casa di Alice Arata e Pietro Godani in compagnia di Gabriele Canu e Agnese Blasetti.
Ecco, ora fossi una persona a modo, verserei ettolitri d’inchiostro per spiegare, con la dovuta precisione, chi siano queste magiche creature con le quali allegramente mi trovo a banchettare, ma non lo farò. Lascerò che attraverso queste tre puntate abbiate modo voi stessi di farvi un’idea in merito.
Una cosa ve la devo ancora dire però. Tutte le chiacchiere che leggerete nascono in conseguenza di un preciso episodio: il 5 e 6 gennaio 2020, Pietro, Alice e Gabriele s’imbarcano in un’avventura a dir poco fuori dal comune, una nuova via di misto proprio sullo Scarason. Dopo due giorni in parete nasce Mystic Train, ED (M6+ 1 p. A0), 240 m di sviluppo; ma non sarà di questa sola nuova apertura che parleremo.
p.s. In questo primo episodio, per salvaguardarvi da fastidiose lungaggini, mi sono dedicato esclusivamente al gozzoviglio e all’ausculto, senza fare neanche una domanda. Il buon Fulvio, con socratico savoir-faire, ha retto le redini del simposio. Ne è nata una sorta di pièce teatrale d’avanguardia pura, senza paura.
Sipario!
Episodio #1
L’audace colpo dei soliti ignoti.
Grasse risate, rumori di stoviglia, smangiucchiamento di pasta al pesto, liguri lamentele sulla cottura delle trofie.
ALICE: Io fino all’ultimo non volevo venire!
PIETRO: No, effettivamente è vero.
A: Quindi diciamo le cose come stanno.
P: Sì, poi dicevi anche: «magari domani scendo». (pausa riflessiva).
No, bé dai, ad una certa ti sei rassegnata che l’avresti fatta.
A: Sono salita su che ero già stanchissima: avevo scalato i giorni prima su ghiaccio.
P: Aveva subito delle pressioni psicologiche, ammettiamo. (con fare assai assolutorio)
A: E in più a breve avrei avuto l’esame (corso Guide e pochi giorni dopo avrebbe avuto la prova di ghiaccio e misto nda) e visto che ero bollita, la mia idea era di riposare. Tra il viaggio in macchina e le cascate e i giorni di allenamento, sai. Volevo solo riposare e pensare all’esame. Quindi alla fine ho contribuito poco.
FULVIO: Però alla fine sei andata!
A: Si sono andata (ride sorpresa). Ho avuto poca scelta se andare o meno. (chiarificatrice)
GABRIELE: Ahhhh! Adesso addirittura «ha avuto poca scelta», senti Pietro! (con ghigno da provola apre le danze al menaggio. Che per i non liguri sta nell’azione del “menare il belino”, semplificando “prendere per il culo” nda)
A: No, vabbé dai, son contenta (sorride sorniona e quasi sincera).
F: Ma quindi Pietro: compagno-padre-padrone? (provocatorio)
P: Mi ci vedi?! (si agita quasi offeso)
F: Già lo immagino: «devi venire! E porta su il materiale! E prepara da mangiare!». (mimando ad ampi gesti ben gonfi d’enfasi).
A: Sono arrivata al parcheggio che già avevo un mio zaino pesantissimo e ancora ho dovuto raccattare materiale dalla loro macchina.
P: Ma tu non hai idea di che zaini avevamo noi! (sbraita sgomento) Vabbé Ga, che è furbo, è venuto col sacco piccolo. Io avevo il 70 litri pieno zeppo! Ali avrà avuto uno zaino da 12 chili, tè. Noi, vabbé (sguardo impietoso verso Gabriele), io almeno 20! E poi si è trovata tutto fatto.
A: È vero, non ho fatto niente. Quando sono arrivata di notte, mi sono infilata nel sacco a pelo e bon! (accoglie comprensiva il rimbrotto)
F: Ah, perché voi, partiti il giorno prima, avevate già fatto due tiri, giusto?
P: Si, due tiri e abbiamo lasciato una fissa.
G: Il giorno prima, il sabato, ci siamo visti per le 5 del mattino. Non sapevo neanche quanti saremmo stati. Un’imboscata! Così mi son trovato invischiato in questa faccenda senza neanche saper bene il perchè e il per come.
Poi per essere sicuri che Alice venisse, ho fatto che dimenticare il sacco a pelo in macchina. Se mai non fosse venuta mi avrebbe avuto sulla coscienza. (con occhi da micio fradicio)
P: E così quella sera lì, dopo aver fatto ‘sti due tiri, siamo scesi e poi tempo di spianare e preparare il bivacco, ecco che anche la Ali era con noi. Abbiamo ravanato parecchio per mettere tutto in piano.
G: Poi ecco che lei è arrivata, si è sdraiata nel sacco e due minuti dopo dormiva (rivendi-cattivo).
P: Sì c’è questa grotticella che ho usato anche nei miei tentativi invernali sullo Scarason (Pietra da anni cerca di perseguire i suoi progetti invernali sulla parete nda). Alla fine, avevo anche smesso di dormirci lì perché mi era venuta la paura dei lupi (sghignazza). Che poi per venire proprio fin lì devono averne proprio que (lett. “voglia” nda) Con tutte le bontà che ci sono giù in valle.
Il mattino dopo, risaliamo ‘sti 60 metri di fissa e da lì via verso nuovi terreni in stile big wall (come cavalcando il vento poetico dell’ispirazione).
F: A quel punto tirando un po’ per uno?
G: Ma và, a quel punto io niente, bon, avevo già dato (gaglioffo e risolutivo).
P: Sì, ce la siamo giocata io e la Ali. E visto che fino a quel momento non aveva ancora fatto un cazzo, abbiamo deciso che sarebbe partita lei (risate buzzurre). Così si è fatta due tiri lei, di cui uno bello duro su cui si è impanata (quasi con soddisfazione).
Qualcuno vuole ancora della pasta al pesto, ou, senza complimenti?
Tutti satolli arrancando rinunciano, profondendosi in scuse tra il ridicolo e il tragico.
A: Il secondo non c’è, c’è solo il tiramisù che però non sono come sia venuto (a toni perplessi).
Pietro intanto, contro la volontà di tutti ha ricolmato i piatti d’ogni commensale con alcuni chili di trofie a testa, imponendo il suo padronale volere da buon signore di casa.
P: Belin dai, intanto aiutatemi a macinare queste, poi se ne volete ancora un po’ ce n’é, zueni!
F: Bando alle ciance, raccontatemi della vostra via sulla Pera? Da dove è nata? (Nell’Estate 2019, Pietro e Alice hanno aperto in due riprese una via sul Pilastro a Pera del Castello delle Aquile, poco lontano dallo stesso Scarason. La via si chiama Viaggio al centro della Pera ED + (VII+/A2), 510 m nda)
GALLERY: Viaggio al Centro della Pera
P: Bé quella l’hai voluta soprattutto tu, Ali!
A: È vero, a quella tenevo davvero molto. Per un po’ di tempo ho insistito andando contro alle lamentele di Pietro. (l’occhio brilla e si fa entusiasta)
P: Sapevo che sarebbe stata una rogna agghiacciante, ma lei era convinta (col fare di chi ha ceduto).
A: Già solo per arrivare all’attacco bisogna sudare. Poi abbiamo scoperto una sorta di ingresso laterale, quello ci ha dato fiducia del fatto che forse avremmo potuto farcela. L’avvicinamento da sotto è faticosissimo. Siamo andati con fare esplorativo, non sapendo bene cosa avremmo trovato. In un primo assaggio abbiamo aperto tre tiri, di cui il primo di ravano. Riusciti a fare quelli abbiamo iniziato a pensare che forse era possibile passare anche in alto. Da quel momento abbiamo passato un sacco di tempo a zoomare le foto della parete per capire dove passare.
F: Quindi l’avete fatta in un po’ di tentativi? Pensandoci bene su?
A: Sì, all’inizio eravamo saliti con molti dubbi, pensando che sarebbe stata una bella rogna, e che probabilmente non avremmo trovato dove e come passare. Siamo proprio andati a dare un’occhiata senza aspettative, senza portare tanto materiale. I tiri poi sono usciti bene, senza troppe difficoltà e così ci siamo convinti di provare. E allora, appunto: studi fotografici della parte alta, varie ipotesi in merito, anche perché eravamo consapevoli che il duro era sopra.
Poi siamo tornati una seconda volta.
P: Sì. Stile big wall, con l’idea di uscire e programmando un bivacco. Solo che il bivacco in parete era una merda totale. Vedevamo delle cenge che erano un po’ fantasiose (occhiata eloquente). Forse avevamo un’amaca, forse. Ma sarebbe stata una cosa atroce. E in più il tiro che ci aspettava era bello duro (realista quanto basta).
A: L’idea era di risalire la fissa e finire la parte bassa: tiri un po’ più classici inseguendo una fessura obliqua. Mancavano in questo senso ancora due tiri per arrivare ad un ipotetico posto da bivacco. Dalle foto sembrava un terrazzino erboso con pino mugo, in realtà era estremamente scosceso, terribile! (disgusto ed orrore)
P: Tu Fulvio ci saresti stato da dio! (grasse risate di complicità)
A: In realtà appena sono arrivata al mugo, presa dall’entusiasmo, mentre recuperavo dicevo: «guarda che bello, qua ci dormiamo!». Poi dopo poco ho capito che era una mussa (“falsità” “menzogna” nda).
F: Questa era la tua prima apertura Alice?
A: Sì. Penso che sia stata la mia prima apertura in assoluto. Avevo già piantato chiodi e su quello ero abbastanza tranquilla, ma non avevo mai esplorato un terreno d’avventura come quello.
F: Sì, insomma prima apertura e vai sul VII+/A2!? (gioiosamente allibito)
P: Sì, tra l’altro quel tiro le è capitato proprio a lei, un tiro atroce, agghiacciante! (rincalza la dose)
F: Un bel battesimo d’apertura (con sorriso ghignante).
G: Si però, Fulvio, guarda la faccia di Alice! Non si ricorda neanche di quale tiro si stia parlando! (seguono risatissime e menaggi assortiti)
P: Alice vive nell’eterno presente. (apoteosi: risa, applausi, colpi di tosse, qualcuno soffoca)
A: La cosa ha i suoi lati positivi, perché non ricordandomi da una volta all’altra la durezza dei tiri, poi quando ci siamo tornati avevo la motivazione giusta per passare, non mi sono venute ansie da prestazione. La prima volta avevo già tentato quel tiro, facendone meno di metà, ma poi siamo scesi. Avvilitissimi perché sembrava subito che proprio di lì non saremmo riusciti a passare.
F: Cosa avevate lì, friend, chiodi?
A: Lì chiodi, e poi su quel tiro ho messo anche un fix, dopo una ventina di metri. E poi di nuovo per la sosta ho messo due fix.
F: È stato bello poi arrivare in cima?
A: A bé, certo, eravamo contenti! Anche di come sia uscita la via. Per noi è davvero bella. Poi sai, dopo la prima volta in cui provi e rinunci, per quanto ti sembri possibile trovare la linea, è stato grande recuperare la motivazione, ritornare e a quel punto riuscire! Avevo anche immaginato una variante a sinistra, lì dove non ero riuscita a passare. Insomma, mi era rimasto il tarlo e volevo tornare a provare. Tutti e due alla fine ce l’abbiamo messa proprio tutta per passare, e riuscire così è ancora più bello.
P: Abbiamo avuto la fortuna di trovare difficoltà al nostro limite, ma che tutto sommato ci hanno permesso di starci dentro. E le difficoltà sono capitate in ordine congeniale alle nostre relative capacità: il tiro dove c’era da tirare la libera è capitato a lei , quello più da artificialista a me.
A: Io non so se sarei passata sul suo tiro, magari avrei messo dei fix (inizio scambio di pippotti).
P: Alla stessa maniera se io fossi capitato sul suo avrei trovato più lungo facendo sicuramente qualche casino. Ha fatto un tiro tremendo di 35 metri con degli attriti inumani, a 15 metri a me sarebbe già saltato il tappo. Non c’erano linee evidenti; tratti di muro per andare a prendere una fessura lì, un diedrino più in là (fine scambio di pippotti).
F: E la roccia con che qualità?
A: Anche quello era il fatto: tratti bellissimi e tratti tremendi! (un sorrisone si trasforma presto in smorfia)
P: Sai quando devi tirare le tacche su quella roccia così non è che ti fidi troppo.
A: La roccia è un po’ come sulla Diretta (nel settembre 2016, sempre sullo Scarason, Alice insieme a Betty Caserini hanno realizzato la prima salita femminile della via Diretta (ED+, 420 metri), aperta nel 1987 da Fulvio Scotto, Andrea Parodi e Sergio Calvi nda) ma come immagino fosse un po’ di ripetizioni fa. Anzi, direi ancora diversa, più croccante. Strana, più gialla. (espressione più che interrogativa)
P: Nella parte alta sembra quasi una roccia tafonata, in una maniera stranissima. Una roccia che non avevo ancora visto sul Marguareis.
A: Grandi tafoni e buchi, ma fragili e polverosi.
P: Forme stile tafone, però con anche le tegole stile Marguareis. Né sulla Diretta, né sull’Armando-Gogna avevo mai visto roccia simile. Uno strano ibrido, una roba un po’ a sé. (con un po’ di schifo)
A: In effetti, la cosa che più mi ha fatto paura è stata la qualità della roccia. Nella prima metà non era roccia migliore, ma le difficoltà erano un po’ più classiche, c’erano spesso fessure, diedri. Nella parte alta tutto si andava a complicare costringendoti a scalare su questi muri a tacche, tutto poco evidente. Il primo tiro della parte alta è tutto su muro, Pietro è stato bravo!
P: Sì però non ho quasi toccato roccia. (ghigno sparviero)
A: Bé no, l’uscita l’hai scalata.
P: E infatti mi son cagato in mano. Subito ero partito: «dai, provo in libera» un attimo dopo ero nell’ artif sistematico. (tuttosommato mostrando un discreto orgoglio)
Il definitivo spazzolamento della pasta al pesto ci riporta all’impresa invernale con tanto di golose vicende. Pietro allora incomincia dalla genesi, le sue visioni mistiche o più semplicemente turpi.
P: Eh boh, io andando spesso lì, quella linea l’avevo già adocchiata da parecchio. Ce n’è anche un’altra, ma ha dei tratti un po’ più strani e quindi per ora la lasciamo lì. D’inverno si vedono bene, e sai, quando sei lì che guardi fanno anche gola. Poi per un po’ non ci ho pensato più, finché un giorno ero a sciare ad Artesina e c’era la neve fuori pista che era cemento armato. Allora mi son detto: «se è così dura a duemila metri, chissà lassù?!». Così sono andato a dare un occhio. Mi sono intrufolato su per un canale a destra del pilastro a Pera e ho fatto una specie di ricognizione. Le linee erano lì. Bisognava capire se la questione rientrava nell’alveo del possibile. L’ho detto a lei, poi ho sentito anche lui. Devo dire che non è che ci fosse una grande fiducia generale.
A: Pochissima (sguardi complici di Gabriele e Alice).
G: No, no mancava l’entusiasmo (laconico).
A: Io subito mi ero messa fuori dai giochi, proprio perché avevo l’esame a breve. Poi avevo capito che Ga ci sarebbe stato, quindi mi sembrava perfetto. (con incedere sbolognatore)
P: Mah, c’è da dire che era un casino capirci qualcosa: avevamo delle foto estive e non ci si orientava per niente su come cazzo dovesse essere girata ‘sta roba. Il timore era quello di andarsi a cacciare in qualcosa di assurdo, con degli strapiombi improbabili. Alla fine invece era fattibile.
Gliel’ho menato a sangue, finché non siamo riusciti ad organizzarla. Arrivati sotto non si capiva comunque come cazzo fosse, ma pian pianino la questione ha preso forma e siamo saliti.
G: Io dopo aver aperto Nella tana del Drago (Fulvio e Gabriele nell’estate 2011 avevano aperto, sempre sullo Scarason, la via Nella Tana del drago ED- (VI+, 1p.A0 R4) 270 m nda) con Fulvio, mi ero detto: «bene! Sullo Scarason posso metterci una X!». Mi sembravano finite le cose da fare. Poi mi è arrivata questa proposta indegna e a quel punto, niente! Non sono uno da misto, ma l’idea era così particolare che sono rimasto intrigato. Ho fatto un pensiero strano del tipo: «mh, magari potrebbe essere divertente!». Volevo passare due o tre giorni lontano dal mondo. (come se non ci credesse manco lui d’aver accettato)
F: Come la vedreste Nella tana del Drago, che corre giusto lì a fianco, in condizioni invernali?
P: Belin, sarebbe un bel problema quello lì! (sobbalza colto da un leggero sturm und drang)
G: Mentre salivo ci pensavo, secondo me non è impossibile, come genere potrebbe essere simile, ma la placca dell’ultimo tiro diventa un bell’enigma.
P: C’è da cagarsi in mano! (con intento risolutore)
G: Può essere che d’inverno uno riesca a passare altrove, la placca diretta è un bel problema, perché magari se facesse un po’ di crosta la sali anche, ma a quel punto come la proteggi?
P: Insomma, non è divertente. Rischia di diventare uno dei tiri più psycho del Marguareis. (ammirato, occhietti che sberluccicano)
F: Per salire voi avete arrampicato picozzando anche in teppe d’erba?
P: Sì, sì, e meno male! Certe uscite erano proprio in dry su roccia, però tendenzialmente cercavamo la teppa.
A: Pensa che abbiamo messo anche una vite! (obesa risata di soddisfazione)
F: Una vite su tutta la via? ( sguardo arcigno e incredulo)
P: Sì, su una bella bolla di ghiaccio adeso. (soddisfatto)
F: Alice, e lì anche ti hanno mandato davanti ‘ste carogne? (severo, ma giusto)
A: No, ma mi faceva anche piacere rendermi utile (allegra, ma non troppo). Fino a quel momento avevo vegetato. Ho fatto i primi due tiri del secondo giorno, Pietro ha fatto i successivi tre.
G: Io non ho fatto più niente, mi son messo in pensione. (cercando comprensione)
F: Bravo è così che si fa! (giubilante)
G: Bisogna giocarla sull’età, ormai funziona così.
F: Vedo che ti ha fatto bene venire un po’ in montagna con me (ridacchiata complice da vecchie volpi)
G: In realtà dovevo fare gli ultimi tiri, ma poi vista l’ora ho fatto largo ai giovani. (da gatto sornione)
F: Ali, le tue esperienze di misto cos’erano state prima di questa? Perché Pietro si era allenato facendo le ripetute sulla Diretta gli inverni passati, ma tu?
A: Io avevo fatto un po’ di dry tooling in falesia, cascate di ghiaccio, vie di misto, ho fatto un po’ un collage di tutti i pezzi. Qualche goulotte in zona Bianco.
Comunque quando sei lì in mezzo, tiro dopo tiro, devo dire che ti si aprono gli occhi, il misto in particolare stimola ancor più la tua creatività. Non è la classica goulotte, dove trovi in mezzo al ghiaccio un po’ di roccia e via, lì trovi tutto. Roccia bella, roccia meno bella.
P: Dai per gli standard del luogo non è malissimo. (con affetto cerca di mediare)
G: Ma di cosa stanno parlando?! (allibito)
F: Non ho capito, forse della pietraia alla base! (e giù sberleffi)
A: Poi c’era neve bellissima, neve tremenda, inconsistente da non saper assolutamente in che modo salire. Roccia dove si poteva far dry, roccia dove le picche erano d’impiccio, mughi. Ogni momento eri lì ad inventare uno stile nuovo per affrontare quello che ti trovavi davanti. Per forza di cose siamo stati creativi. Ogni tiro diverso dall’altro. Alla fine la via è una bella via anche per questo motivo.
G: E poi magari chi sale da secondo se lo deve inventare in un modo ancora diverso perché manca un pezzo di roccia, di ghiaccio, di albero. (mimando crolli e siluri roboanti)
P: In generale a livello neve abbiamo comunque trovato condizioni ottime, non credo sia facile trovare tanto meglio. (con cipiglio democristiano)
G: In senso assoluto: non buone condizioni; per gli standard del posto: ottime. (già più oggettivo)
F: Nessuno vi ha ancora chiesto su facebook la relazione per andarla a ripetere? (tutti ridono gaglioffi)
P: Ma secondo me è anche un po’ il discorso Scarason che fa da filtro, l’idea in sé di andarsi a cacciare lassù. Poi io non è che abbia una bellissima reputazione, quasi tutti mi vedono come un ravanone. (con una vena di tristesa calimera)
G: E naturalmente si sbagliano! (gioiosamente sarcastico)
P: Poi sì, con lo Scarason il mio rapporto oramai è quasi patologico. Devo dire che è un periodo in cui mi piace proprio. Mi sento a casa quando sono lì.
F: Bhé, sei ormai quello che ad un livello tecnico elevato ha fatto di più in zona Marguareis.
P: Mah, boh, sarà. (messo alle strette)
G: Pié, abbiamo contato che complessivamente solo sulla Diretta, a salire e scendere, ci hai passato 17 giorni! (e quasi glielo urlacchia)
P: Beh sì, devo dire che mi piace. Le sento un po’ come le mie montagne, che detto così è una roba che fa un po’ sorridere, ma è vero. (teneramente sincero)
F: E il nome della via?
P: Un gioco di parole tra mistico e misto.
A: Ah, io non l’avevo neanche ancora colta questa sfumatura! (ennesima scorpacciata di risa)
G: Pensa come eravamo e siamo messi bene! (il solito a rincuorare)
P: Subito volevo chiamarla Mystic Gully, anche la cartella con le foto di studio che ho sul pc si chiamava così. Non ci sono strane connotazioni legate a mondi superiori. È quasi esclusivamente un gioco di parole.
F: Speravo in qualche vostra esperienza trascendentale. (ghigna)
P: No, no. Non penso che uno se la viva lì. Nessuna esperienza psichedelica.
G: Ma parla un po’ per te! (risentito)
Mystic Train, Italia 2020, 13′
Gabriele, già noto nell’etere come blogger del dissacrante GAP climb, dal quale ha raccontato con non poco belinismo le belle (e difficili) salite che andava compiendo con la sua torva di amici squilibrati, si presenta, oggi qui, nelle vesti di filmmaker. E in effetti, oramai da un po’ di anni, questo fa nella vita, coniugando al suo ben noto sguardo beffardo un’inaspettata (almeno per chi lo conosce) capacità di cogliere la meraviglia dei piccoli particolari.
Qui in esclusiva ci regala una sorta di breve taccuino di viaggio per immagini, un racconto in stile GAP a proposito di quanto combinato quest’inverno sullo Scarason con Pietro e Alice.
Buona visione!
Fine del primo episodio.
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