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Space Vertigo, sulle Tre Cime il presente e il futuro dell’alpinismo

Set 29, 2020

Emanuele Confortin

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Qualche giorno fa, Claudio Migliorini, Alessandro Baù e Nicola Tondini sono riusciti a liberare Space Vertigo, la loro super via aperta tra il 2016 e il 2019 sugli strapiombi della nord della Cima Ovest di Lavaredo. Un vero tempio dell’alpinismo di alta difficoltà, dove, con Space Vertigo, sono state ribadite le caratteristiche dell’alpinismo di punta del futuro: apertura dal basso utilizzando chiodi e protezioni veloci, seppur ammettendo l’impiego di spit alle soste. Il tutto “scegliendo la progressione in libera e rifiutando l’artificiale anche in apertura” così come ha spiegato Nicola Tondini in questa intervista esclusiva per Alpinismi.

Ma andiamo con ordine. Dopo l’apertura di Space Vertigo, che attacca alla destra della Couzy e condivide una sosta con Alpenliebe, gli apritori avevano immaginato sin da subito un nuovo passaggio in parete, stavolta per la libera. Progetto tutt’altro che scontato viste le difficoltà incontrate (fino al IX+/X-) pertanto, nei mesi estivi, Migliorini, Baù e Tondini sono tornati a riprendere le misure alla via e al vuoto della Ovest, liberando i primi tiri. Poi, a inizio settembre la cordata ha trovato il tempo (e la condizione) per riunirsi ancora una volta, portando in parete due portaledge e tentare la libera completa della via. Malgrado l’umidità e la roccia scivolosa dei primi giorni, la cordata si è concentrata per tre giorni sui tiri più impegnativi, mentre il quarto giorno è stata liberata la parte alta della via.

Space Vertigo, foto Matteo Pavana. (Foto di copertina, Matteo Pavana)

Inutile dire che si tratta di un itinerario di altissima difficoltà e continuità impressionanti, tracciato su una delle pareti più “ariose” della cerchia alpina, da cui un notevole impegno psicologico. Ecco quindi la lista con il dettaglio, tiro per tiro: 1) VII+ 2) IX+ 3) IX 4) IX+/X- 5) IX 6) VIII+/IX- 7) IX 8) VIII+/IX- 9) IX- 10) VIII+ 11) VIII+ 12) IX 13) IX- 14) VIII+ 15) V+ 16) VI 17) VI 18) VI+ 19) VIII+ 20) VI 21) IV. Il tutto con un obbligatorio eloquente, di VIII+/IX-.

Space Vertigo, foto di Giovanni Danieli

Al di là dei numeri però, eravamo curiosi di saperne di più di questo primo anniversario con libera di Space Vertigo. Per questo ne abbiamo parlato con Nicola Tondini.

Con il senno di poi, dopo l’apertura e l’agognata libera, quali sono stati i momenti salienti dell’intero progetto?

Per quanto mi riguarda uno dei momenti cruciali è stato decidere di avventurarci su quella parete usando proprio lo stile che poi abbiamo adottato. Nel senso che guardando alla storia delle vie presenti sulla Cima Ovest, ma anche sulla maggior parte di quelle della Grande, le vie esistenti erano state aperte con largo uso di artificiale, a chiodi o a chiodi a pressione, prima di arrivare a itinerari moderni con protezioni a spit, ma aperti in libera. Queste sembravano essere le due alternative possibili su questa parete. La nostra idea era quella di aprire una via dal basso senza fare uso di artificiale, ovvero superando ogni singolo passaggio in libera come se si fosse su una via moderna a spit, ma usando solo chiodi e protezioni veloci. Uno stile che avevamo provato su altre pareti, ma temevamo fosse inappropriato per una parete così strapiombante.

Space Vertigo, foto Matteo Pavana

Quali sono state le tappe cronologiche di Space Vertigo?

Ci abbiamo provato la prima volta nel 2016, con un primo assaggio della parete, per capire la fattibilità dello stile. Ammetto che siamo rientrati da quel tentativo con mille dubbi. Poi siamo tornati più decisi nel 2018 e nel 2019 mettendo sempre in conto di poter essere respinti dalla parete, quando ad esempio venivano a mancare le forze o le energie mentali. Questa è stata la chiave della salita.

Tu, Migliorini e Baù formate una cordata pazzesca, quali sono state le dinamiche tra di voi?   

Sicuramente il fatto di essere in tre ad aprire, con la possibilità di alternarsi, ha aiutato in quanto c’era sempre un compagno di alto livello che poteva prendere il testimone e proseguire. È stato molto bello vedere Claudio e Alessandro mettersi in gioco come era capitato a me in Scotoni o sul Sass Dla Crusc, e volare su quel tipo di protezioni. È stato entusiasmante. Alcuni momenti fondamentali dell’apertura sono stati il portare a termine il secondo tiro della via (IX+), il quarto (IX+/X-) che è un traverso sotto ai tetti e a ogni volo bisognava risalire con le jumar per tornare all’ultima protezione. Poi l’apertura di tiri come il settimo, il dodicesimo, il tredicesimo e il quattordicesimo, sono stati momenti cruciali. Sono infatti tutti tiri dove a guardarli da sotto sembrava inconcepibile salire senza spit. Tuttavia, più salivamo più ci convincevamo della riuscita del progetto.

Reputi sia stata richiesta un’assunzione eccessiva di rischi?

Più che richiedere l’assunzione di grandi rischi, lo stile scelto ha comportato un grande dispendio di energie. Questo spiega le 12 giornate spese in apertura, in quanto se fossimo saliti con gli spit ne sarebbero bastate la metà. Quando ci si fermava su un cliff, avendo avuto gli spit avremmo risolto velocemente, però non volendoli usare, ci si fermava solo quando si capiva la reale possibilità di mettere una protezione che andava posizionata bene, spesso mettendone due in parallelo in quanto da quel punto si sarebbe poi proseguito con lunghi run-out. Così è stato su quasi tutti i tratti più impegnativi con obbligatorio più alto. Abbiamo usato anche i tricam e li abbiamo lasciati in parete per facilitare i ripetitori. Direi quindi che non ci siamo assunti dei rischi particolari. Abbiamo però accettato la possibilità di non riuscire e di fallire nel nostro progetto.

Quanti tentativi sono serviti per venire a capo della libera?

Anche se non sempre tutti assieme, in totale siamo stati in parete sei volte. Alessandro è quello che ha dedicato un po’ più di tempo al progetto e per questo va ringraziato. Ha studiato al meglio alcuni punti cruciali e insieme a Claudia, sua moglie, ha organizzato in modo impeccabile la logistica. Al momento della salita finale, tutti e tre assieme, dei 14 tiri duri ne conoscevamo circa otto. Ne avessimo conosciuti qualcuno in più avremmo impiegato meno di quattro giorni per la libera, ma ci siamo voluti lasciare un po’ di incognita, decidendo di provare i restanti direttamente in questi 4 giorni. Il momento più impegnativo della rotpunkt è stato il primo giorno, quando ci siamo presi una bella batosta a causa dell’alta umidità e dell’assenza di vento da nord, motivo per cui nei primi sei tiri c’era l’umidità che stagnava sulle prese degli strapiombi rendendo la scalata molto difficile, con un susseguirsi di bei voli. Quel giorno siamo riusciti a liberare solo i primi tre tiri, anziché gli otto che ci eravamo prefissati. Oltre a sfiancarci, questa lentezza ci ha un po’ demoralizzati, ma il giorno seguente siamo ripartiti con decisione per recuperare il tempo perso. È stata una bella esperienza di lavoro di squadra e di motivazione di gruppo.

È questo dunque il destino dell’alpinismo di alto livello in Dolomiti: vie nuove, alta difficoltà e protezioni trad? 

Si, è quello che auspico in Dolomiti, dove è ancora possibile proteggersi con chiodi perché la tipologia di roccia lo accetta. Vie nuove, alta difficoltà, protezioni trad sono a parer mio una grande frontiera dell’alpinismo. A questo aggiungo, che se si evita di fare artificiale in apertura, ciò regala avventura al 100%.

C’è ancora spazio per vie in questo stile in Tre Cime?

Volendo cercare altre linee con questo stile credo sia necessario andare su gradi ancora più alti. Forse qualcosa da aprire ancora c’è, vedremo.

Alpinismo di punta powered by: Alessandro Baù (Guida Alpina XMountain e CAAI) – SCARPA, CAMP, Montura, Dynastar, Salice Occhiali
Claudio Migliorini (Guida Alpina e CAAI) – Kayland, AlpStation Brescia, Montura, Wild Climb, Epictv Italia, Vibram
Nicola Tondini (Guida Alpina XMountain) – Climbing Technology, Ferrino, Wild Climb, Maxim Ropes, Marmot_mountain_europe, Dolomite1897, King Rock

Space Vertigo, foto di Giovanni Danieli

Space Vertigo, foto di Giovanni Danieli

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1 commento

  1. paolo

    Molto bravi. Sono espressione altissima di uno stile di scalata molto italiano che sembra caratterizzare gran parte dei nostri professionisti della montagna.

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